sabato 22 settembre 2012




La poesia, costretta a essere poesia sociale, poesia civile, poesia patriottica, intristisce sui libri, avvizzisce nell'aria chiusa della scuola, e finalmente ammala di retorica, e muore.
Giovanni Pascoli


Rieccomi,
son passati mesi e mesi da quando vi ho scritto l'ultima volta.
Ho lasciato parlare un po' gli altri, perché ascoltare mi è sempre piaciuto, ed ho anche taciuto , quando impari il silenzio, diventa un vizio.
Oggi sono qua a raccontarvi una storia, che suonerà un po' come una giustificazione, una giustificazione ad una pausa, un'assenza che qua, sul cogito, è durata due mesi.
Sorvolerò la vocina che nella mia testa mi schernisce, ti giustifichi con i fantasmi?
Ma sì, io so che ci siete.
E seppur voi foste fantasmi, le mie giustificazioni non sono un vizio che voglio smettere ( un altro) .

La mia è una storia che non è mia, non mi appartiene, non all'inizio, quando diversi universitari, legati dalla vena poetica, decisero di diventare un gruppo, l'h5n1, in una città del nord.
h5n1, il virus dell’aviaria.
aviaria è contagio: come l'arte.
L'arte, la poesia, sono malattie, malattie contagiose, a dir loro.
Loro malati,i folli, con le loro poesie stampate su carta per le strade, hanno lasciato un segno mentre le parole altrui gli scivolano addosso.

Poesia è malattia.
Franz Kafka
Loro scrivevano (scrivono) , leggevano ( leggono) , stampavano (stampano), affiggevano.
Si pronunciavano, sì, avevano una pronuncia, un accento, il loro battito.
Io li ho trovati a questo punto, ed è a questo punto che li voglio lasciare,
che le cose migliori finiscono, e blablabla.
Ora arrivo io, che li trovo per caso, e ricordo.
Ricordo che c’avevo pensato un tempo, ma era un tempo strano, uno di quelli in cui il mondo ti sembra grande, ed hai paura che neanche ci arrivi al bancone.
Sai quel bancone, quello dell’ufficio informazioni, quello della signora saccente, quella che sempre annuisce, quello che raggiungevi sulle punte –ehy, signora, mi spiega la vita?
E lei ride.
Sai, che poi le risate fanno anche paura.
Metti che ad affiggere non arrivavo, perché ero troppo bassa ( falla una battuta sul fatto che lo sia ancora) metti che stentavo a fidarmi delle spalle di qualcun altro, metti che le risate mi han sempre fatto paura.
Ora arrivano loro.
I membri di un gruppo su facebook, alcuni bloggers, altri followers, altri amici, altre giusto belle persone.
Ma belle, belle che devi crederci, perché sono quasi le tre ed io credo che belle renda bene il concetto.
Loro sorridono.
Tu dirai, ma le risate si sentono lo stesso, no? Che i sorrisi non fanno alcun rumore.
Ed io ti dico che noi ci mettiamo la musica sopra il loro rumore, che parliamo in silenzio, parliamo scrivendo, quando il silenzio si trasforma in una voce.
E loro hanno alzato le mani, ad uno ad uno, e tutti hanno detto di sì.
Nessuno di noi credo sia arrivato al bancone, che ormai è troppo tardi, e la signora ad una certa età ti risponde ad altre domande, da come si vive a come si muore e ti elenca tutti i tuoi vizi.
Quindi abbiamo scritto, scritto tanto, c’è chi ha avuto coraggio, più di tutti, e si è firmato, chi di firme ne ha presentate altre, canzoni, poesie, passi.
Ora arriva un nome, arriva come arrivano le idee, le emozioni, l’ansia, l’entusiasmo, l’ardore, la necessità, come un vento,
ma lui non è un vento qualsiasi, lui è Austro.
Ed Austro soffia da Sud, mentre l’aviaria si è fermata a Roma.
Dico, almeno Cristo si era fermato ad Eboli.
Aveva provato a percorrerla, la Salerno- ReggioCalabria.
Austro è un personaggio della mitologia greca, che travolgeva, come fuoco, le città.
Austro,noi. 

Ora arrivi tu, e soltanto posso ribadirti, "incendiamole!"
Non rendendole cenere, ma investendole di carta.
Ho immaginato carta sulle pareti travolgere la gente che passa.
Passanti che si fermano, s’interrogano, ghignano e si perdono in luogo comune.  " i ragazzi di oggi non hanno nulla da fare”.
Sarà, il nostro fare inquieto è nulla in confronto all’andirivieni di chi mai si ferma.
“ e lei che fa da vent’anni?” 
“La stessa cosa!”
Noi tremiamo alla parola abitudine, dannazione, noi neanche ce li abbiamo vent’anni.

Scriviamo, leggiamo, postiamo, scegliamo dei pezzi, li mettiamo su carta, li affiggiamo.


Un tempo si credeva che lo zucchero si estraesse solo dalla canna da zucchero, ora se ne estrae quasi da ogni cosa; lo stesso per la poesia, estraiamola da dove vogliamo, perché è dappertutto.
Gustave Flaubert

Chiara Carastro, i ragazzi del Cogito



Austro, 19.09.2012
suggerita da Enza Castro




Le passanti, Fabrizio De André
Austro, 19.09.2012




Anton Vanligt

Austro, 19.09.2012
suggerita da Stefano Grasso

Austro, di Paola Tricomi

Nel fondo profondo dentro il corpo lì abita l’anima.

Nessuno ancora l’ha vista eppure tutti sanno che esiste. Esiste, senza ombra di dubbio.
E tutti sanno, anche, che cosa c’è dentro di lei …
Dentro l’anima nel suo bel mezzo sta lì, ritta su una sola zampetta una rondine.
La Rondine!
Il suo nome è Rondine dell’anima …
E’ lei che sente tutto quello che noi sentiamo.
Quando qualcuno ci fa del male la Rondine dell’anima vaga mogia nel nostro corpo, di qua, di là, per ogni angolo, con il peso di pesanti patimenti.
Quando qualcuno ci vuole bene saltella, la Rondine dell’anima, saltella, fa piccoli balzi d’allegria, avanti e indietro, su e giù.
Quando qualcuno ci chiama per nome la Rondine dell’anima sta bene attenta al suono della voce di chi chiama:
vuol riconoscere quale sia la natura del suo richiamo.
Quando qualcuno si arrabbia con noi la Rondine dell’anima si racchiude in se stessa e triste e silenziosa se ne sta.
Però, quando qualcuno ci stringe in un abbraccio la Rondine dell’anima che abita nel profondo del nostro corpo diventa grande grande sino quasi a riempire di sé tutto lo spazio che trova dentro noi.
Quel che c’è di bene al mondo lei lo trova in un abbraccio stretto stretto.
Nel fondo profondo, dentro il corpo lì abita l’anima. Nessuno ancora l’ha vista eppure tutti sanno che esiste. E mai, mai è nato alcun uomo senza che per lui un’anima ci fosse.
Così l’anima si annida dentro di noi nel momento stesso in cui veniamo al mondo.
E non ci abbandona, non una sola volta finché siamo vivi.
Come l’aria che l’uomo respira dal momento in cui nasce sino al momento in cui se ne va.
E ora sicuro vorrete sapere com’è fatta la Rondine dell’anima.
Oh, non c’è nulla di più semplice.
E’ fatta di tanti cassettini.
NOn si possono aprire sull’istante, già, perché ognuno è chiuso a chiave, con una chiavetta che funziona solo per lui. E’ tutta sua.
La Rondine dell’anima è proprio l’unica che possa aprire i cassettini.
In che modo? Nulla è più semplice: con l’altra sua zampetta.
La Rondine dell’anima sta ritta su una zampetta sola. Con l’altra sua zampetta che tiene ripiegata sotto il corpo può far girare la chiave di quel cassettino che vuole aprire.
La spinge nella toppa, gira, ed ecco che tutto quel che c’è nel cassetto se ne esce in libertà dentro il corpo.
E poiché Tutto quello che noi sentiamo ha un suo proprio cassetto la Rondine dell’anima è una moltitudine di cassettini.
C’è il cassetto della gioia e quello della tristezza, il cassetto dell’invidia e quello della speranza, il cassetto dell’illusione perduta e quello della disperazione, c’è il cassetto della pazienza e quello del nervosismo.
C’è persino il cassetto dell’odio, il cassetto della rabbia, ma anche quello della dolcezza e della cortesia, quello della pigrizia e quello…dell’insulsaggine.
E, infine, il cassetto dei segreti più segreti, quello che quasi mai viene aperto.
Ci sono molti altri cassetti.
Per parte vostra potete aggiungerne tanti: quanti ne volete!
Capita a volte che l’uomo possa scegliere da sé e indicare alla Rondine dell’anima quale chiave vuol far girare, quale cassetto aprire.
Ma a volte è la Rondine dell’anima che decide per lui.
Un esempio: lui vuole stare zitto e dà istruzione alla Rondine dell’anima di aprire il cassettino dello star zitti. Ma lei, di testa sua, apre quello della chiacchiera, e lui parla, parla senza neanche volerlo!
Un altro esempio: lui cerca di dare ascolto alla pazienza. Ma lei gli apre il cassettino del nervosismo e così lo fa diventare nervoso.
Capita così che lui sia geloso senza averne la minima intenzione.
Capita così che lui combini solo guai anche se vuol essere d’aiuto.

Perché davvero la Rondine dell’anima non sempre si lascia comandare ma solo qualche volta.
E allora, a volte, gli combina dei pasticci…
Così non è difficile comprendere che ogni uomo è diverso dall’altro per la Rondine dell’anima che sta dentro di lui.
C’è quella che già sul far del mattino spalanca il cassettino della gioia: e la gioia si diffonde per tutto il corpo. E l’uomo di questa Rondine sarà pieno di gioia.
Ma poi c’è quella Rondine dell’anima che spalanca per lui il cassettino del dolore… Il dolore allora esce e si diffonde e diventa padrone dell’uomo in ogni cosa e in ogni suo momento. Così, sino a quando la Rondine non chiude quel cassettino non troverà più pace al suo dolore.
C’è la Rondine che -poverina!- apre sempre cassetti poco piacevoli…
E la Rondine che -buon per lei!- sceglie fra i cassetti quel che meglio le si addice.
Ma la cosa più importante è star bene ad ascoltare la Rondine dell’anima .
Capita a volte ch’essa chiami e noi non la sentiamo. Peccato!
Vuole raccontarci di ciò che siamo noi, vuole raccontarci di quei sentimenti che stanno chiusi nei cassetti dentro di lei.
C’è chi l’ascolta un momento dopo l’altro,
c’è chi l’ascolta per un momento, ogni tanto,
e c’è chi l’ascolta una sola volta, in tutta la vita.
Allora val forse la pena chissà, nel pieno della notte, quando tutto tace, di stare, un poco, ad ascoltare la Rondine dell’anima che sta dentro di noi nel profondo dentro il nostro corpo.
 
 Michal Snunit, la Rondine dell'anima, versione integrale

Austro, 19.09.2012
suggerita da Sofia Reitano
"Un giorno ci incroceremo in un caffè o in metropolitana. Cercheremo di non riconoscerci o di fingere di non vederci, ci gireremo svelti dall'altra parte. Saremo imbarazzati per ciò che è diventato il nostro noi, per quello che ne è rimasto. Niente. Due estranei uniti da un passato immaginario."
- D. Glattauer
 
suggerito da Emanuele Liotta 

venerdì 21 settembre 2012

l'uccello azzurro

Un uccello azzurro
nel mio cuore c'è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma con lui sono inflessibile,
gli dico: rimani dentro, non voglio
che nessuno ti
veda.


nel mio cuore c'è un uccello azzurro che

vuole uscire
ma io gli verso addosso whisky e aspiro
il fumo delle sigarette
e le puttane e i baristi
e i commessi del droghiere
non sanno che
lì dentro
c'è lui

nel mio cuore c'è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io con lui sono inflessibile,
gli dico:
rimani giù, mi vuoi fare andar fuori
di testa?
vuoi mandare all'aria tutto il mio
lavoro?
vuoi far saltare le vendite dei miei libri in
Europa?


nel mio cuore c'è un uccello azzurro che

vuole uscire
ma io sono troppo furbo, lo lascio uscire
solo di notte qualche volta
quando dormono tutti.
gli dico: lo so che ci sei,
non essere
triste

poi lo rimetto a posto,

ma lui lì dentro un pochino
canta, mica l'ho fatto davvero
morire,
dormiamo insieme
così col nostro
patto segreto
ed è così grazioso da
far piangere
un uomo, ma io non
piango, e
voi?


Charles Bukowski

giovedì 20 settembre 2012

Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso voler essere niente.

A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo.

Finestre della mia stanza,
della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è
(e se sapessero chi è, cosa saprebbero?),
vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente,
su una via inaccessibile a tutti i pensieri,
reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa,
con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri,
con la morte che porta umidità nelle pareti e capelli bianchi negli uomini,
con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla.

Oggi sono sconfitto, come se conoscessi la verità.
Oggi sono lucido, come se stessi per morire,
e non avessi altra fratellanza con le cose
che un commiato, e questa casa e questo lato della via diventassero
la fila di vagoni di un treno, e una partenza fischiata
da dentro la mia testa,
e una scossa dei miei nervi e uno scricchiolio di ossa nell'avvio.

Oggi sono perplesso come chi ha pensato, trovato e dimenticato.
Oggi sono diviso tra la lealtà che devo
alla Tabaccheria dall'altra parte della strada, come cosa reale dal di fuori,
e alla sensazione che tutto è sogno, come cosa reale dal di dentro.

Sono fallito in tutto.
Ma visto che non avevo nessun proposito, forse tutto è stato niente.
Dall'insegnamento che mi hanno impartito,
sono sceso attraverso la finestra sul retro della casa.
Sono andato in campagna pieno di grandi propositi.
Ma là ho incontrato solo erba e alberi,
e quando c'era, la gente era uguale all'altra.
Mi scosto dalla finestra, siedo su una poltrona. A che devo pensare?
Che so di cosa sarò, io che non so cosa sono?
Essere quel che penso? Ma penso di essere tante cose!

E in tanti pensano di essere la stessa cosa che non possono essercene così tanti!
Genio? In questo momento
centomila cervelli si concepiscono in sogno geni come me,
e la storia non ne rivelerà, chissà?, nemmeno uno,
non ci sarà altro che letame di tante conquiste future.
No, non credo in me.
In tutti i manicomi ci sono pazzi deliranti con tante certezze!
lo, che non possiedo nessuna certezza, sono più sano o meno sano?
No, neppure in me...
in quante mansarde e non-mansarde del mondo
non staranno sognando a quest'ora geni-per-se-stessi?
Quante aspirazioni alte, nobili e lucide -,
sì, veramente alte, nobili e lucide -,
e forse realizzabili,
non verranno mai alla luce del sole reale nè troveranno ascolto?

Il mondo è di chi nasce per conquistarlo
e non di chi sogna di poterlo conquistare, anche se ha ragione.

Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato.
Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo.
Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto.
Ma sono, e forse sarò sempre, quello della mansarda,
anche se non ci abito;
sarò sempre quello che non è nato per questo;
sarò sempre soltanto quello che possedeva delle qualità;

sarò sempre quello che ha atteso che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta,

e ha cantato la canzone dell'Infinito in un pollaio,
e sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso.
Credere in me? No, nè in niente.



Fernando Pessoa, la tabaccheria.

Austro, 19.09.2012
suggerita da Martina Di Franco