martedì 6 novembre 2012



Austro, corso Umberto, sabato 3 novembre.

Giovanni Orecchio

Austro, corso Umberto, sabato 3 novembre. 

 





tratto da:




 


Austro, corso Umberto, sabato 3 novembre.






"Rimanemmo così, sulla sommità di quel capo, per quello che ci sembrò un tempo infinito, abbracciati senza dire una parola, mentre il vento non smetteva di soffiarci contro, e sembrava strapparci i vestiti di dosso; per un istante fu come se ci tenessimo stretti l'uno all'altra, perché quello era l'unico modo per non essere spazzati via nella notte."

-non lasciarmi, Kazuo Ishiguro.



Austro, corso Umberto, sabato 3 novembre. 

proposta da Emanuele Liotta

Austro, corso Umberto, sabato 3 novembre.

Giovanni Orecchio

sabato 27 ottobre 2012



Hanno ragione, hanno ragione,
mi han detto:"E' vecchio tutto quello che lei fa,
parli di donne da buon costume,
di questo han voglia se non l'ha capito già."
E che gli dico:"Guardi, non posso, 
io quando ho amato
ho amato dentro gli occhi suoi,
magari anche fra le sue braccia
ma ho sempre pianto per la sua felicità."

 
Luci a San Siro di quella sera
che c'è di strano siamo stati tutti là,
ricordi il gioco dentro la nebbia?
Tu ti nascondi e se ti trovo ti amo là.
Ma stai barando, tu stai gridando,
così non vale, è troppo facile così,
trovarti amarti giocare il tempo
sull'erba morta con il freddo che fa qui.

Ma il tempo emigra mi han messo in mezzo
non son capace più di dire un solo no
Ti vedo e a volte ti vorrei dire
ma questa gente intorno a noi che cosa fa?
Fa la mia vita, fa la tua vita
tanto doveva prima o poi finire lì
ridevi e forse avevi un fiore
ti ho capita, non mi hai capito mai.

Scrivi Vecchioni, scrivi canzoni
che più ne scrivi più sei bravo e fai danè
tanto che importa a chi le ascolta
se lei c'è stata o non c'è stata e lei chi è?

Fatti pagare, fatti valere
più abbassi il capo più ti dicono di si
e se hai le mani sporche che importa 
tienile chiuse e nessuno lo saprà.

Milano mia portami via, fa tanto freddo,
ho schifo e non ne posso più,

facciamo un cambio prenditi pure
quel po' di soldi quel po' di celebrità
ma dammi indietro la mia seicento,
i miei vent'anni e una ragazza che tu sai
Milano scusa stavo scherzando,
luci a San Siro non ne accenderanno più.

venerdì 19 ottobre 2012



È proibito piangere senza imparare, svegliarti la mattina senza sapere che fare. 
Avere paura dei tuoi ricordi. 
È proibito non sorridere dei problemi, non lottare per quello che desideri, e desistere, per paura. 
Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realtà. 
È proibito non dimostrare il tuo amore fare pagare agli altri i tuoi malumori. 
È proibito abbandonare i tuoi amici, non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto, e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
È proibito non essere te stesso davanti alla gente, fingere davanti alle persone che non ti interessano, essere gentile solo per farti ricordare, dimenticare tutti coloro che ti amano.
È proibito non fare le cose per te stesso, avere paura della vita e dei suoi compromessi, non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire, dimenticare i suoi occhi e il suo sorriso, solo perché le vostre strade hanno smesso di incontrarsi.
Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.



suggerito da  Beatrice Pennisi

martedì 16 ottobre 2012



Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale 
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. 
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. 
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono 
le coincidenze, le prenotazioni, 
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

- Eugenio Montale


suggerito da Emanuele Liotta 

Tiziano Terzani


"Oggi l'economia è fatta per costringere tanta gente a 

lavorare a ritmi spaventosi per produrre delle cose perlopiù  

inutili che altri lavorano a ritmi spaventosi per poter 

comprare. Ma non dà felicità alla gente."

 

 




sabato 22 settembre 2012




La poesia, costretta a essere poesia sociale, poesia civile, poesia patriottica, intristisce sui libri, avvizzisce nell'aria chiusa della scuola, e finalmente ammala di retorica, e muore.
Giovanni Pascoli


Rieccomi,
son passati mesi e mesi da quando vi ho scritto l'ultima volta.
Ho lasciato parlare un po' gli altri, perché ascoltare mi è sempre piaciuto, ed ho anche taciuto , quando impari il silenzio, diventa un vizio.
Oggi sono qua a raccontarvi una storia, che suonerà un po' come una giustificazione, una giustificazione ad una pausa, un'assenza che qua, sul cogito, è durata due mesi.
Sorvolerò la vocina che nella mia testa mi schernisce, ti giustifichi con i fantasmi?
Ma sì, io so che ci siete.
E seppur voi foste fantasmi, le mie giustificazioni non sono un vizio che voglio smettere ( un altro) .

La mia è una storia che non è mia, non mi appartiene, non all'inizio, quando diversi universitari, legati dalla vena poetica, decisero di diventare un gruppo, l'h5n1, in una città del nord.
h5n1, il virus dell’aviaria.
aviaria è contagio: come l'arte.
L'arte, la poesia, sono malattie, malattie contagiose, a dir loro.
Loro malati,i folli, con le loro poesie stampate su carta per le strade, hanno lasciato un segno mentre le parole altrui gli scivolano addosso.

Poesia è malattia.
Franz Kafka
Loro scrivevano (scrivono) , leggevano ( leggono) , stampavano (stampano), affiggevano.
Si pronunciavano, sì, avevano una pronuncia, un accento, il loro battito.
Io li ho trovati a questo punto, ed è a questo punto che li voglio lasciare,
che le cose migliori finiscono, e blablabla.
Ora arrivo io, che li trovo per caso, e ricordo.
Ricordo che c’avevo pensato un tempo, ma era un tempo strano, uno di quelli in cui il mondo ti sembra grande, ed hai paura che neanche ci arrivi al bancone.
Sai quel bancone, quello dell’ufficio informazioni, quello della signora saccente, quella che sempre annuisce, quello che raggiungevi sulle punte –ehy, signora, mi spiega la vita?
E lei ride.
Sai, che poi le risate fanno anche paura.
Metti che ad affiggere non arrivavo, perché ero troppo bassa ( falla una battuta sul fatto che lo sia ancora) metti che stentavo a fidarmi delle spalle di qualcun altro, metti che le risate mi han sempre fatto paura.
Ora arrivano loro.
I membri di un gruppo su facebook, alcuni bloggers, altri followers, altri amici, altre giusto belle persone.
Ma belle, belle che devi crederci, perché sono quasi le tre ed io credo che belle renda bene il concetto.
Loro sorridono.
Tu dirai, ma le risate si sentono lo stesso, no? Che i sorrisi non fanno alcun rumore.
Ed io ti dico che noi ci mettiamo la musica sopra il loro rumore, che parliamo in silenzio, parliamo scrivendo, quando il silenzio si trasforma in una voce.
E loro hanno alzato le mani, ad uno ad uno, e tutti hanno detto di sì.
Nessuno di noi credo sia arrivato al bancone, che ormai è troppo tardi, e la signora ad una certa età ti risponde ad altre domande, da come si vive a come si muore e ti elenca tutti i tuoi vizi.
Quindi abbiamo scritto, scritto tanto, c’è chi ha avuto coraggio, più di tutti, e si è firmato, chi di firme ne ha presentate altre, canzoni, poesie, passi.
Ora arriva un nome, arriva come arrivano le idee, le emozioni, l’ansia, l’entusiasmo, l’ardore, la necessità, come un vento,
ma lui non è un vento qualsiasi, lui è Austro.
Ed Austro soffia da Sud, mentre l’aviaria si è fermata a Roma.
Dico, almeno Cristo si era fermato ad Eboli.
Aveva provato a percorrerla, la Salerno- ReggioCalabria.
Austro è un personaggio della mitologia greca, che travolgeva, come fuoco, le città.
Austro,noi. 

Ora arrivi tu, e soltanto posso ribadirti, "incendiamole!"
Non rendendole cenere, ma investendole di carta.
Ho immaginato carta sulle pareti travolgere la gente che passa.
Passanti che si fermano, s’interrogano, ghignano e si perdono in luogo comune.  " i ragazzi di oggi non hanno nulla da fare”.
Sarà, il nostro fare inquieto è nulla in confronto all’andirivieni di chi mai si ferma.
“ e lei che fa da vent’anni?” 
“La stessa cosa!”
Noi tremiamo alla parola abitudine, dannazione, noi neanche ce li abbiamo vent’anni.

Scriviamo, leggiamo, postiamo, scegliamo dei pezzi, li mettiamo su carta, li affiggiamo.


Un tempo si credeva che lo zucchero si estraesse solo dalla canna da zucchero, ora se ne estrae quasi da ogni cosa; lo stesso per la poesia, estraiamola da dove vogliamo, perché è dappertutto.
Gustave Flaubert

Chiara Carastro, i ragazzi del Cogito



Austro, 19.09.2012
suggerita da Enza Castro




Le passanti, Fabrizio De André
Austro, 19.09.2012




Anton Vanligt

Austro, 19.09.2012
suggerita da Stefano Grasso

Austro, di Paola Tricomi

Nel fondo profondo dentro il corpo lì abita l’anima.

Nessuno ancora l’ha vista eppure tutti sanno che esiste. Esiste, senza ombra di dubbio.
E tutti sanno, anche, che cosa c’è dentro di lei …
Dentro l’anima nel suo bel mezzo sta lì, ritta su una sola zampetta una rondine.
La Rondine!
Il suo nome è Rondine dell’anima …
E’ lei che sente tutto quello che noi sentiamo.
Quando qualcuno ci fa del male la Rondine dell’anima vaga mogia nel nostro corpo, di qua, di là, per ogni angolo, con il peso di pesanti patimenti.
Quando qualcuno ci vuole bene saltella, la Rondine dell’anima, saltella, fa piccoli balzi d’allegria, avanti e indietro, su e giù.
Quando qualcuno ci chiama per nome la Rondine dell’anima sta bene attenta al suono della voce di chi chiama:
vuol riconoscere quale sia la natura del suo richiamo.
Quando qualcuno si arrabbia con noi la Rondine dell’anima si racchiude in se stessa e triste e silenziosa se ne sta.
Però, quando qualcuno ci stringe in un abbraccio la Rondine dell’anima che abita nel profondo del nostro corpo diventa grande grande sino quasi a riempire di sé tutto lo spazio che trova dentro noi.
Quel che c’è di bene al mondo lei lo trova in un abbraccio stretto stretto.
Nel fondo profondo, dentro il corpo lì abita l’anima. Nessuno ancora l’ha vista eppure tutti sanno che esiste. E mai, mai è nato alcun uomo senza che per lui un’anima ci fosse.
Così l’anima si annida dentro di noi nel momento stesso in cui veniamo al mondo.
E non ci abbandona, non una sola volta finché siamo vivi.
Come l’aria che l’uomo respira dal momento in cui nasce sino al momento in cui se ne va.
E ora sicuro vorrete sapere com’è fatta la Rondine dell’anima.
Oh, non c’è nulla di più semplice.
E’ fatta di tanti cassettini.
NOn si possono aprire sull’istante, già, perché ognuno è chiuso a chiave, con una chiavetta che funziona solo per lui. E’ tutta sua.
La Rondine dell’anima è proprio l’unica che possa aprire i cassettini.
In che modo? Nulla è più semplice: con l’altra sua zampetta.
La Rondine dell’anima sta ritta su una zampetta sola. Con l’altra sua zampetta che tiene ripiegata sotto il corpo può far girare la chiave di quel cassettino che vuole aprire.
La spinge nella toppa, gira, ed ecco che tutto quel che c’è nel cassetto se ne esce in libertà dentro il corpo.
E poiché Tutto quello che noi sentiamo ha un suo proprio cassetto la Rondine dell’anima è una moltitudine di cassettini.
C’è il cassetto della gioia e quello della tristezza, il cassetto dell’invidia e quello della speranza, il cassetto dell’illusione perduta e quello della disperazione, c’è il cassetto della pazienza e quello del nervosismo.
C’è persino il cassetto dell’odio, il cassetto della rabbia, ma anche quello della dolcezza e della cortesia, quello della pigrizia e quello…dell’insulsaggine.
E, infine, il cassetto dei segreti più segreti, quello che quasi mai viene aperto.
Ci sono molti altri cassetti.
Per parte vostra potete aggiungerne tanti: quanti ne volete!
Capita a volte che l’uomo possa scegliere da sé e indicare alla Rondine dell’anima quale chiave vuol far girare, quale cassetto aprire.
Ma a volte è la Rondine dell’anima che decide per lui.
Un esempio: lui vuole stare zitto e dà istruzione alla Rondine dell’anima di aprire il cassettino dello star zitti. Ma lei, di testa sua, apre quello della chiacchiera, e lui parla, parla senza neanche volerlo!
Un altro esempio: lui cerca di dare ascolto alla pazienza. Ma lei gli apre il cassettino del nervosismo e così lo fa diventare nervoso.
Capita così che lui sia geloso senza averne la minima intenzione.
Capita così che lui combini solo guai anche se vuol essere d’aiuto.

Perché davvero la Rondine dell’anima non sempre si lascia comandare ma solo qualche volta.
E allora, a volte, gli combina dei pasticci…
Così non è difficile comprendere che ogni uomo è diverso dall’altro per la Rondine dell’anima che sta dentro di lui.
C’è quella che già sul far del mattino spalanca il cassettino della gioia: e la gioia si diffonde per tutto il corpo. E l’uomo di questa Rondine sarà pieno di gioia.
Ma poi c’è quella Rondine dell’anima che spalanca per lui il cassettino del dolore… Il dolore allora esce e si diffonde e diventa padrone dell’uomo in ogni cosa e in ogni suo momento. Così, sino a quando la Rondine non chiude quel cassettino non troverà più pace al suo dolore.
C’è la Rondine che -poverina!- apre sempre cassetti poco piacevoli…
E la Rondine che -buon per lei!- sceglie fra i cassetti quel che meglio le si addice.
Ma la cosa più importante è star bene ad ascoltare la Rondine dell’anima .
Capita a volte ch’essa chiami e noi non la sentiamo. Peccato!
Vuole raccontarci di ciò che siamo noi, vuole raccontarci di quei sentimenti che stanno chiusi nei cassetti dentro di lei.
C’è chi l’ascolta un momento dopo l’altro,
c’è chi l’ascolta per un momento, ogni tanto,
e c’è chi l’ascolta una sola volta, in tutta la vita.
Allora val forse la pena chissà, nel pieno della notte, quando tutto tace, di stare, un poco, ad ascoltare la Rondine dell’anima che sta dentro di noi nel profondo dentro il nostro corpo.
 
 Michal Snunit, la Rondine dell'anima, versione integrale

Austro, 19.09.2012
suggerita da Sofia Reitano
"Un giorno ci incroceremo in un caffè o in metropolitana. Cercheremo di non riconoscerci o di fingere di non vederci, ci gireremo svelti dall'altra parte. Saremo imbarazzati per ciò che è diventato il nostro noi, per quello che ne è rimasto. Niente. Due estranei uniti da un passato immaginario."
- D. Glattauer
 
suggerito da Emanuele Liotta 

venerdì 21 settembre 2012

l'uccello azzurro

Un uccello azzurro
nel mio cuore c'è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma con lui sono inflessibile,
gli dico: rimani dentro, non voglio
che nessuno ti
veda.


nel mio cuore c'è un uccello azzurro che

vuole uscire
ma io gli verso addosso whisky e aspiro
il fumo delle sigarette
e le puttane e i baristi
e i commessi del droghiere
non sanno che
lì dentro
c'è lui

nel mio cuore c'è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io con lui sono inflessibile,
gli dico:
rimani giù, mi vuoi fare andar fuori
di testa?
vuoi mandare all'aria tutto il mio
lavoro?
vuoi far saltare le vendite dei miei libri in
Europa?


nel mio cuore c'è un uccello azzurro che

vuole uscire
ma io sono troppo furbo, lo lascio uscire
solo di notte qualche volta
quando dormono tutti.
gli dico: lo so che ci sei,
non essere
triste

poi lo rimetto a posto,

ma lui lì dentro un pochino
canta, mica l'ho fatto davvero
morire,
dormiamo insieme
così col nostro
patto segreto
ed è così grazioso da
far piangere
un uomo, ma io non
piango, e
voi?


Charles Bukowski

giovedì 20 settembre 2012

Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso voler essere niente.

A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo.

Finestre della mia stanza,
della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è
(e se sapessero chi è, cosa saprebbero?),
vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente,
su una via inaccessibile a tutti i pensieri,
reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa,
con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri,
con la morte che porta umidità nelle pareti e capelli bianchi negli uomini,
con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla.

Oggi sono sconfitto, come se conoscessi la verità.
Oggi sono lucido, come se stessi per morire,
e non avessi altra fratellanza con le cose
che un commiato, e questa casa e questo lato della via diventassero
la fila di vagoni di un treno, e una partenza fischiata
da dentro la mia testa,
e una scossa dei miei nervi e uno scricchiolio di ossa nell'avvio.

Oggi sono perplesso come chi ha pensato, trovato e dimenticato.
Oggi sono diviso tra la lealtà che devo
alla Tabaccheria dall'altra parte della strada, come cosa reale dal di fuori,
e alla sensazione che tutto è sogno, come cosa reale dal di dentro.

Sono fallito in tutto.
Ma visto che non avevo nessun proposito, forse tutto è stato niente.
Dall'insegnamento che mi hanno impartito,
sono sceso attraverso la finestra sul retro della casa.
Sono andato in campagna pieno di grandi propositi.
Ma là ho incontrato solo erba e alberi,
e quando c'era, la gente era uguale all'altra.
Mi scosto dalla finestra, siedo su una poltrona. A che devo pensare?
Che so di cosa sarò, io che non so cosa sono?
Essere quel che penso? Ma penso di essere tante cose!

E in tanti pensano di essere la stessa cosa che non possono essercene così tanti!
Genio? In questo momento
centomila cervelli si concepiscono in sogno geni come me,
e la storia non ne rivelerà, chissà?, nemmeno uno,
non ci sarà altro che letame di tante conquiste future.
No, non credo in me.
In tutti i manicomi ci sono pazzi deliranti con tante certezze!
lo, che non possiedo nessuna certezza, sono più sano o meno sano?
No, neppure in me...
in quante mansarde e non-mansarde del mondo
non staranno sognando a quest'ora geni-per-se-stessi?
Quante aspirazioni alte, nobili e lucide -,
sì, veramente alte, nobili e lucide -,
e forse realizzabili,
non verranno mai alla luce del sole reale nè troveranno ascolto?

Il mondo è di chi nasce per conquistarlo
e non di chi sogna di poterlo conquistare, anche se ha ragione.

Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato.
Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo.
Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto.
Ma sono, e forse sarò sempre, quello della mansarda,
anche se non ci abito;
sarò sempre quello che non è nato per questo;
sarò sempre soltanto quello che possedeva delle qualità;

sarò sempre quello che ha atteso che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta,

e ha cantato la canzone dell'Infinito in un pollaio,
e sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso.
Credere in me? No, nè in niente.



Fernando Pessoa, la tabaccheria.

Austro, 19.09.2012
suggerita da Martina Di Franco

lunedì 25 giugno 2012

...

Una voce ed un cuore ...



 Lasciali dire che al mondo
quelli come te perderanno sempre
perchè hai già vinto, lo giuro,
e non ti possono fare più niente.
Passa ogni tanto la mano
su un viso di donna, passaci le dita,
nessun regno è più grande
di questa piccola cosa che è la vita
.





E tu? Tu cosa vuoi dire? :)

Un paio di mani ed un cuore,





















questo è ciò che riescono a realizzare. 

E tu? Tu cosa sai fare? :)


charms in fimo realizzati da Angela Finocchiaro

martedì 19 giugno 2012

Corri incontro alla speranza. Corri, lotta affinchè quello che speri si realizzi. Non bisogna mai mollare o gettare la spugna.

Stefania Spitale

...


La scintilla divina dell'uomo
 è quell'indole romantica 
che gli riserva il privilegio 
di chiamare stella 
un puntino bianco nel cielo 
e di trovarvi qualcosa di magico.        
                                                             
                  
                                   Gabriele Pulvirenti

Facebook- il mascherato bisogno di fuggire il vuoto

Di norma aborrisco le posizioni radicali, gli assoluti. Ma oggi voglio divertirmi a costruire una posizione radicale su un argomento tanto alla portata di tutti da sembrare naturale, scontato.
-Che cos'è facebook? Questa è la domanda. -Che cos'è facebook per ciascuno di noi?
Facebook è, in fondo, un intrattenimento che riempie i buchi della giornata; ci rifugiamo su facebook quando non pensiamo di avere qualcosa di urgente da fare, quando siamo svogliati. Esso riempie quelle parti del giorno che altrimenti rimarrebbero bianche nel nostro immaginario. Una calamita anti-noia che ci attira come il cibo. Ne abbiamo bisogno, è un'interfaccia con il mondo, che ci tiene vivi e ci fa sapere che esiste qualcun altro nel mondo, e che continua ad esistere anche quando è lontano da noi e che soprattutto è sempre a nostra disposizione, sempre pronto a distrarci. 
Ma questo bisogno degli altri non è genuino, in quanto molto più simile a un bisogno di distrazione, bisogno di resettare il sistema per dimenticarsi del resto. Il bisogno degli altri, di altre persone, vive e presenti, viene storpiato e diventa bisogno di uno schermo, di una tastiera su cui battere nervosamente, un mouse da dirigere dove si vuole, da dominare, da possedere.
Facebook è un indispensabile possesso per persone vuote: vuote di interessi, vuote di entusiasmi da cui lasciarsi trasportare verso fonti di vita più umane, verso esperienze dirette. Facebook è il prodotto di una civiltà della maschera, in cui pur di non guardare negli occhi una persona, le si cancella il viso, riducendola a uno schermo, e frapponendovi un filtro, una protezione. Una protezione dal contatto umano da cui temiamo di essere feriti e di cui non ci sentiamo all'altezza.
Quando sono di fronte a facebook cos'è che ho, cos'è che mi manca? Mi mancano interessi, mi manca il calore delle singole persone. In compenso ho un'accozzaglia di voci, soffocate in fastidiosi bip di messaggi telegrafici, privi di emozioni, privi di rabbia, di pianto, di sorrisi. Tutto si riduce a una comunicazione stilizzata e defraudata del sentimento, dell'intesa, del contatto umano.
Gabriele Pulvirenti

venerdì 15 giugno 2012

murales;


 


Da un semplice profilo ad un capolavoro: parole d’ordine perseveranzapassione.
Sottile è d’altronde il confine tra passione e perseveranza. La passione è perseveranza, e la perseveranza non esiste se non mossa dalla passione.
Prima un profilo, poi una linea, poi l’universo è esploso.
Siamo rimasti là a scorgere i profili, e ci siamo stupiti: un’unica linea ha unito uomini, animali, alberi, note musicali. E chissà quante cose scorgeremo ancora, quando per caso o per volontà c’imbatteremo di nuovo di fronte al murales.

E chissà quanta gente ci abbiamo già visto e ci vedremo, chissà quale titolo abbiamo dato a quel libro, e quale nome abbiamo dato all’universo che ci scoppia dentro, a quel fuoco artificiale polvere da sparo.
Ci siamo chiesti, che significato avrà? Ed abbiamo cercato una risposta.
Ci siamo accontentati di ammirarlo, abbiamo chiesto spiegazioni.
(…)
Quel murales non è pura astrazione, non è un caso, è una risposta.
Ecco che il talento varca la soglia della genialità: il talento produce arte, la genialità impernia l’arte di un fine che va oltre il godimento immediato.

È una  risposta.

La risposta alla domanda. Quella che ci saremo posti un po’ tutti, quella che ci accomuna … A che diamine serve il classico?

Ecco che il murales è risposta, risposta e segreto.
Ed io vi svelo il segreto che c’ho nascosto dentro, vi svelo la mia risposta.
Mi fido. :3

Noi abbiamo gli occhi verdi, verde speranza.
Noi nel futuro ci crediamo e per questo abbiamo scelto il classico. Noi crediamo ancora. Non tutti sappiamo di preciso in cosa, ma crediamo.

Il classico è la linea: dal greco al latino, dal latino a tutte le altre letterature.
Nel corso della storia, una ed unica, diverse lingue hanno descritto sempre le stesse immagini, le stesse emozioni, le stesse paure, i conseguenti tremori, le stesse passioni, i conseguenti tremori.
(Dannazione, quanto tremiamo.)
Non credete all’idiozia di chi vi dice che una lingua è morta, e che per questo non vale la pena studiarla. Tutte le lingue periranno... fosse solo la lingua a morire.
La lingua è linguaggio, la lingua è un velo.
Traduciamo, o facciamo tradurre, solo per scoprire questo velo.
La lingua è solo un segno distintivo, un’altra, una propria identità.
Un linguaggio con cui condividersi.
Le lingue muoiono, come la gente, ma l’umanità che si nasconde dietro ad una lingua, quella non muore.
L’umanità è quella che il classico ci porta a scoprire.
L’umanità è amore, è l’amore di Saffo, è l’inquietudine, l’inquietudine d’Orazio o di un Foscolo, è utopia, l’utopia di un Machiavelli, è la disillusione, la disillusione di Baudelaire.
L’umanità è una realtà eterna, mentre l’uomo è una realtà fugace.
È quando ci affacciamo sull’eternità, che diventiamo parte integrante di un tutto, che non tramonta mai.
E l’universo esplode.
Ci esplode dentro.
Ci esplodono dentro mondi distanti anni luce, distanti secoli, distanti chilometri, distanti civiltà. Ci sentiamo umani, uomini che sono sempre vissuti, che hanno sempre vissuto delle stesse cose.

Questo è il segreto del classico: non tanto la traduzione di un ως , che di solito è affidata al caso, ma la traduzione di sogni, storie, emozioni ed idee che si sono eternate attraverso gli ως.
E che in qualche modo eterneranno anche noi.
È un valicare la soglia del tempo, dello spazio, delle età.
Entrare a far parte di un aetas senza tempo, liberarci dei nostri limiti, scoprirli mere fantasie.
I limiti che siamo noi ad imporci: soltanto garanzie.
I " non posso" che ci difendono da ogni biasimo quando decidiamo di non spingerci più oltre.
I limiti che l'esistenza c'impone, i limiti reali, sono delle prove: gli uomini sui nostri libri le hanno sostenute e le hanno superate lasciando un eterna traccia della loro vita fugace. Lasciando un ricordo.


E grazie Laura, per il tuo ricordo.
Riguarderemo il tuo murales, il vostro murales, nei prossimi anni e magari ci sorprenderemo ancora.
Magari capiremo, se non l’abbiamo già fatto, magari ci scorgeremo dentro altre cose, che ora non riusciamo a vedere.
 Spero che tu possa continuare a lasciare traccia del tuo passaggio, che tu possa continuare a firmare con le tue pennellate, la tua storia. Lo auguro a te, che credi nell’arte e con l’arte ti firmi,come a tutti gli altri, che in qualcosa pur crederanno, e che con questo qualcosa, proseguendo nel loro cammino, lasceranno le loro impronte.
Grazie per essere stata parte della nostra storia.


“È una ragazza che si approccia alle materie umanistiche, filosofia, o letteratura ad esempio. Studiando, si affaccia sull’universo: tante cose diverse legate tutte da uno stesso filo, che imprescindibilmente la lega al mondo”. - Laura Percolla.


Chiara Carastro; foto di Luisa Flannery e Alessandra Sorbello;