La poesia, costretta a essere poesia sociale, poesia civile, poesia
patriottica, intristisce sui libri, avvizzisce nell'aria chiusa della
scuola, e finalmente ammala di retorica, e muore.
Giovanni Pascoli
Rieccomi,
son passati mesi e mesi da quando
vi ho scritto l'ultima volta.
Ho lasciato parlare un po' gli
altri, perché ascoltare mi è sempre piaciuto, ed ho anche taciuto , quando impari il silenzio, diventa un vizio.
Oggi sono qua a raccontarvi una
storia, che suonerà un po' come una giustificazione, una giustificazione ad una pausa, un'assenza che qua, sul cogito, è durata due mesi.
Sorvolerò la vocina che nella mia
testa mi schernisce, ti giustifichi con i fantasmi?
Ma sì, io so che ci siete.
E seppur voi foste fantasmi, le mie
giustificazioni non sono un vizio che voglio smettere ( un altro) .
La mia è una storia che non è mia,
non mi appartiene, non all'inizio, quando diversi universitari, legati dalla
vena poetica, decisero di diventare un gruppo, l'h5n1, in una città del nord.
h5n1, il virus dell’aviaria.
aviaria è contagio: come l'arte.
L'arte, la poesia, sono malattie,
malattie contagiose, a dir loro.
Loro malati,i folli, con
le loro poesie stampate su carta per le strade, hanno lasciato un segno mentre
le parole altrui gli scivolano addosso.
Poesia è malattia.
Franz Kafka
Loro scrivevano (scrivono) , leggevano ( leggono) ,
stampavano (stampano), affiggevano.
Si pronunciavano, sì, avevano
una pronuncia, un accento, il loro battito.
Io li ho trovati a questo punto, ed
è a questo punto che li voglio lasciare,
che le cose migliori finiscono, e blablabla.
Ora arrivo io, che li trovo per
caso, e ricordo.
Ricordo che c’avevo pensato un
tempo, ma era un tempo strano, uno di quelli in cui il mondo ti sembra grande,
ed hai paura che neanche ci arrivi al bancone.
Sai quel bancone, quello
dell’ufficio informazioni, quello della signora saccente, quella che sempre
annuisce, quello che raggiungevi sulle punte –ehy, signora, mi spiega la vita?
E lei ride.
Sai, che poi le risate fanno anche
paura.
Metti che ad affiggere non
arrivavo, perché ero troppo bassa ( falla una battuta sul fatto che lo sia
ancora) metti che stentavo a fidarmi delle spalle di qualcun altro, metti che
le risate mi han sempre fatto paura.
Ora arrivano loro.
I membri di un gruppo su facebook,
alcuni bloggers, altri followers, altri amici, altre giusto belle persone.
Ma belle, belle che devi crederci,
perché sono quasi le tre ed io credo che belle renda bene il concetto.
Loro sorridono.
Tu dirai, ma le risate si sentono
lo stesso, no? Che i sorrisi non fanno alcun rumore.
Ed io ti dico che noi ci mettiamo
la musica sopra il loro rumore, che parliamo in silenzio, parliamo scrivendo,
quando il silenzio si trasforma in una voce.
E loro hanno alzato le mani, ad uno
ad uno, e tutti hanno detto di sì.
Nessuno di noi credo sia arrivato
al bancone, che ormai è troppo tardi, e la signora ad una certa età ti risponde
ad altre domande, da come si vive a come si muore e ti elenca tutti i tuoi
vizi.
Quindi abbiamo scritto, scritto
tanto, c’è chi ha avuto coraggio, più di tutti, e si è firmato, chi di firme ne
ha presentate altre, canzoni, poesie, passi.
Ora arriva un nome, arriva come
arrivano le idee, le emozioni, l’ansia, l’entusiasmo, l’ardore, la necessità,
come un vento,
ma lui non è un vento qualsiasi,
lui è Austro.
Dico, almeno Cristo si era fermato
ad Eboli.
Aveva provato a percorrerla, la
Salerno- ReggioCalabria.
Austro è un personaggio della mitologia greca, che travolgeva, come fuoco, le città.
Austro,noi.
Ora arrivi tu, e soltanto posso
ribadirti, "incendiamole!"
Non rendendole cenere, ma
investendole di carta.
Ho immaginato carta sulle pareti travolgere
la gente che passa.
Passanti che si fermano, s’interrogano,
ghignano e si perdono in luogo comune. " i ragazzi di oggi non hanno nulla da fare”.
Sarà, il nostro fare inquieto è
nulla in confronto all’andirivieni di chi mai si ferma.
“ e lei che fa da vent’anni?”
“La stessa
cosa!”
Noi tremiamo alla parola abitudine,
dannazione, noi neanche ce li abbiamo vent’anni.
Scriviamo, leggiamo, postiamo, scegliamo dei pezzi, li mettiamo su carta, li affiggiamo.
Un tempo si credeva che lo zucchero si estraesse solo dalla canna da
zucchero, ora se ne estrae quasi da ogni cosa; lo stesso per la poesia,
estraiamola da dove vogliamo, perché è dappertutto.
Gustave Flaubert
Chiara Carastro, i ragazzi del Cogito
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