venerdì 18 novembre 2011

Il ragazzo e il contadino

« A fare il contadino, in campagna, uno si fa delle certezze: il sole sorge sempre, e sempre da levante. Dopo l’estate c’è sempre l’inverno, e dopo l’inverno sempre l’estate.»
« Si, questo lo so anch’io; ma ci sono molte cose di cui non puoi essere certo: il cattivo raccolto, per esempio? come fai a sapere che il tuo lavoro darà un buon raccolto, e che la tua non sarà stata tutta fatica sprecata?»
« Non posso saperlo. Ma anche quella è certezza. Certezza che il mio lavoro non è tutto, che io non posso sempre tutto ciò che voglio. È l’umiltà, questa. Me l’ha insegnata l’inverno rigido, l’estate sterile. Ed è una certezza, l’umiltà. Certezza di essere uomini. La natura c’insegna. Dopo il cattivo raccolto, prima o poi ce n’è uno migliore. Quello che posso fare è lavorare perché un raccolto migliore venga un giorno. La fatica può non dar frutti, ma solo dalla fatica vengono i frutti, questo so.»
« Io non ho imparato la stessa lezione; mi han detto che i frutti vengono da soli… o non vengono, e questo vedo nel mondo intorno a me»
« Guardami. Pensi che i frutti che ho raccolto nella mia vita siano venuti da soli, che siano caduti dal cielo?»
« Questo io vedo nel mio mondo; forse quando tu eri giovane il mondo era diverso, non era così guasto; ma ora è proprio marcio, e tutti ci marciscono dentro»
« Perché dici questo? Cosa ti ha fatto il mondo?»
« Cosa non mi ha fatto il mondo… non mi ha dato una famiglia accogliente; non mi ha dato un amico sincero; non mi ha fatto come volevo»
« Cioè come? Più forte? più intelligente?»
« Beh, si… insomma, anche; più bello, non so… più simpatico, ecco; e magari più ricco…e un po’ felice, almeno; invece sono povero, triste e solo; non sono utile a nessuno; non c’è niente che desideri fare»
« Non hai delle certezze, non ce le hai perché nessuno mai te le ha date. Il lavoro dà certezza. Il dovere dà certezza. E fare il proprio dovere.»
« Non parlarmi di doveri; io non ho obblighi nei confronti di questo mondo di merda; non devo niente a nessuno; questo solo almeno ce l’ho: sono libero, posso almeno fare quel che mi pare»
« Il lavoro ti fa sapere chi sei. Ti dà certezza, perché ti lega a qualcosa: io sono legato alla mia terra, perché la lavoro e me ne prendo cura. Infatti sono un contadino. Tu chi sei, che sei sciolto dai doveri?»
« Sono un ragazzo »
«Sarai sempre solo un ragazzo, finché non ti darai dei doveri.»
« Non ti credo… e poi a me sta bene di essere un ragazzo; perché dovrei essere un contadino, come te? perché dovrei essere qualcos’altro? sono un ragazzo; quello che mi serve sono i soldi, e per i soldi non funziona più così, si possono fare i soldi anche senza sgobbare dalla mattina alla sera»
«Io sgobbo dalla mattina alla sera, come dici tu, per avere quel poco che mi basta per vivere. Ma io so chi sono: sono un contadino. Ho dei punti fermi. Quando avrai ottenuto tutti i soldi che vuoi senza lavorare, tu chi sarai
« Sarò molto più di quanto sono adesso, naturalmente… e molto più di quanto tu possa mai essere con il tuo lavoro da quattro soldi: sarò un ragazzo ricco, e ricco sfondato»
«No: sarai sempre solo un ragazzo. E in più sarai ricco, triste e solo.»

Gabriele Pulvirenti

1 commento:

  1. Semplicemente senza parole! Splendido! Complimenti Gabri!

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